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Sono Alessandro Arcaro, medico chirurgo, specialista in Scienza dell’Alimentazione ed Esperto e Consulente in Medicina ad Indirizzo Estetico.
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Domande Frequenti

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DOMANDE FREQUENTI

In questa sezione sono riportate le domande che più frequentemente vengono poste in riferimento alle mie aree di attività, allo scopo di arricchire ulteriormente le
informazioni di base che puoi già trovare nella sezione Prestazioni oppure tra gli articoli del mio Blog.

NUTRIZIONISTI: DIFFERENZE


QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA DIETOLOGO, BIOLOGO NUTRIZIONISTA E DIETISTA?

In Italia diverse figure professionali qualificate hanno la possibilità di intervenire, seppur con limiti ben definiti dalla legge, in tema di dieta e alimentazione e possono a pieno titolo definirsi nutrizionisti: il dietologo, il biologo nutrizionista e il dietista. Tuttavia altre figure quali personal trainer, naturopati, estetiste, blogger e influencer, rientrano nel calderone dei “nutrizionisti ad honorem”, pur non avendo effettuato necessariamente specifici studi universitari. Nutrizionista pertanto è un titolo che spesso è di fatto abusato, genera confusione e a volte anche seri danni… Un po’ come se chiunque, per il fatto di avere scritto un libro o suonare uno strumento, si fregi automaticamente del titolo di scrittore o musicista. Premesso questo, il dietologo è esclusivamente un medico, idealmente specializzatosi in Scienza dell’Alimentazione (“nutrizionista clinico”), che per legge è l’unica figura professionale che può visitare la persona (visita medica) e, in piena autonomia, fare diagnosi, stabilire una prognosi, prescrivere esami, farmaci e terapie. Il biologo nutrizionista è un laureato in scienze biologiche cui compete la “valutazione dei bisogni nutritivi ed energetici dell’uomo, degli animali e delle piante”: può elaborare profili nutrizionali nel soggetto sano al fine di proporre un miglioramento del proprio ‘benessere’ finalizzato al miglioramento della salute e diete anche nel soggetto affetto da una determinata patologia, ma in questo caso la diagnosi dovrà sempre essere stata preventivamente accertata da un medico. Il dietista (oggi laurea triennale) elabora, formula e attua le diete prescritte dal medico e ne controlla l’accettabilità da parte del paziente. Svolge inoltre attività didattico-educativa e di informazione finalizzata a divulgare i principi di una sana e corretta alimentazione, per il singolo o per particolari gruppi di persone. In conclusione a fare la differenza non è la dizione suggestiva di “nutrizionista”, che di fatto non ha alcun significato legale, ma le competenze acquisite dal professionista a seguito del proprio percorso di studi e le facoltà di intervento consentite dalla legge in base ai propri titoli.

DIETA PROTEICA

LA DIETA PROTEICA E’ PERICOLOSA PER LA SALUTE?

La Dieta Proteica quando basata su di un protocollo di qualità e sicurezza, validato da risultati sperimentali su un’ampia casistica, e prescritta e gestita per brevi periodi sotto controllo medico specialistico è sicura per la salute ed efficace in termini di risultati. Non deve essere intesa come un “modo di alimentarsi” ma come una vera e propria terapia, che è parte di un più articolato percorso dietetico che mira a promuovere e mantenere lo stato di salute della persona. All’opposto, se consideriamo invece la miriade di diete “commerciali” e “alla moda” che si basano semplicemente sul trucco di ridurre fortemente i carboidrati innalzando le quote proteiche, allora la risposta è assolutamente sì. Queste diete generalmente si prestano facilmente all’autoprescrizione e all’autogestione, acquistando i pasti sostitutivi in farmacia o nei negozi di integratori, oppure vengono gestite da figure professionali non qualificate. Non c’è pertanto un medico che preventivamente ne abbia posto l’indicazione e soprattutto abbia escluso eventuali controindicazioni e questo è già un primo potenziale pericolo. Sono regimi dietetici che promettono un rapido dimagrimento senza essere parte di un più articolato protocollo che prevede un percorso di educazione alimentare, poiché sono ideati essenzialmente per scopi commerciali e la salute della persona passa quindi in secondo piano. Spesso vengono condotti per periodi più o meno lunghi, fino a quando la persona, stanca di portare avanti un regime dietetico restrittivo, monotono e costoso, molla tutto e recupera rapidamente i chili persi e con gli interessi. Altri rischi per la salute sono dovuti al fatto che generalmente vengono assunte quantità eccessive e imprecise di proteine, magari anche per diversi mesi, attraverso integratori proteici con proteine a valore biologico mediocre o scarso e non è prevista né l’alcalinizzazione a dosi terapeutiche né una supplementazione di vitamine e minerali secondo le dosi giornaliere raccomandate. Si tratta di diete iperproteiche non solo in termini di percentuale delle calorie fornite dalle proteine, ma anche per la quantità eccessiva di proteine assunte giornalmente, con il rischio di far aumentare paradossalmente la massa grassa e, a lungo termine, appesantire reni e fegato.

CELLULITE

QUAL È LA DIFFERENZA TRA “CELLULITE” E ADIPOSITÀ LOCALIZZATA?

La “cellulite”, o più correttamente panniculopatia edemato-fibro-sclerotica (P.E.F.S.), è a tutti gli effetti una malattia. E’ un processo degenerativo del tessuto adiposo sottocutaneo che riconosce alla base un’alterazione del microcircolo veno-linfatico. Ha tendenza ad evolvere e cronicizzare, determinando un aumento di volume a livello delle cosce, dei fianchi e dei glutei, meno frequentemente dell’addome. Colpisce quasi esclusivamente le donne (anche quelle magre!) per motivi anatomici. Nella donna infatti, i setti fibrosi (retinacula cutis) che connettono normalmente al derma il muscolo sottostante, attraversando il tessuto adiposo sottocutaneo, sono disposti in maniera verticale anziché tangenziale come nell’uomo: creano perciò una specie di “rete a maglia larga” che è poco contenitiva, favorendo perciò la visualizzazione di eventuali noduli sottostanti. A parte questa predisposizione legata al genere, importanti fattori causali sono rappresentati dalla familiarità (insufficienza veno-linfatica e fragilità capillare), dall’uso della pillola, da una dieta ricca di zuccheri semplici, grassi e sale, dal fumo e dal consumo di bevande alcoliche, dalla sedentarietà, dalla prolungata stazione eretta e dall’abbigliamento costrittivo. Si riconoscono 4 stadi evolutivi che partono da una condizione di lieve ritenzione idrica, passano per la pelle a buccia d’arancia, fino ad arrivare alla cute a materasso, non più reversibile. L’adiposità localizzata invece non è una malattia, piuttosto, secondo gli attuali canoni di bellezza, un “inestetismo”, che può tuttavia creare un grave disagio psicologico. Si tratta di un’anomala concentrazione distrettuale delle cellule adipose dovuta al loro aumento di numero e/o di volume. Riconosce alla base una forte predisposizione genetica-costituzionale e razziale, colpisce lo strato profondo del tessuto adiposo sottocutaneo ed è correlata a un alto livello di estrogeni e di insulina. Le tipiche aree di adiposità localizzata sono la zona attorno all’ombelico e sopra il pube, i fianchi, la zona gluteo-femorale, l’interno coscia, l’interno del ginocchio e i polpacci. E’ particolarmente resistente ai trattamenti dietetici ipocalorici tradizionali e all’attività fisica, e si giova invece di uno o più cicli di Dieta Proteica. A differenza della “cellulite”, il tessuto adiposo è sano, fisiologicamente esuberante in quelle sedi perché costituisce una riserva energetica messa lì da madre natura in vista della gravidanza e dell’allattamento. La cute sovrastante inoltre è perfettamente sana, liscia, senza fossette e nodulazioni, il colorito è normale, non c’è ritenzione idrica né tessuto fibrotico, non è dolente e la circolazione è normale. “Cellulite” e adiposità localizzata sono quindi due condizioni distinte che spesso coesistono e posso essere presenti anche in soggetti normopeso.

ATTIVITÀ FISICA PER DIMAGRIRE

QUALE TIPO DI ATTIVITÀ FISICA È PIÙ INDICATO PER PERDERE PESO?

Affinché un programma dietetico dimagrante risulti corretto ed efficace bisogna prevedere, accanto ad una riduzione delle calorie in entrata seguendo una dieta adeguatamente restrittiva, un aumento delle “uscite” attraverso un’attività fisica regolare e costante. Poiché l’obiettivo deve essere quello di perdere peso riducendo la massa grassa in eccesso mantenendo invece quella magra, dovremo agire bruciando esclusivamente i grassi. Questo – come noto – si ottiene con l’attività fisica di tipo “aerobico” (ad es. camminata a passo spedito,  joggingcorsabicicletta oppure cyclette tapis-roulant). Tuttavia è importante seguire alcune regole fondamentali per svolgerla correttamente. Innanzitutto l’attività cosiddetta “bruciagrassi” dovrebbe essere fatta a digiuno (idealmente al mattino), quando cioè sono minimi i livelli di zucchero circolante e costringere quindi l’organismo ad utilizzare i trigliceridi del tessuto adiposo di riserva. Sempre a tal scopo l’intensità della stessa dovrà essere moderata o bassa e la durata “lunga” (non inferiore cioè ai 30-40 minuti). All’opposto un’attività fisica particolarmente intensa e concentrata in pochi minuti richiede invece inevitabilmente zucchero pronto, cioè “benzina ad alto numero di ottani”, anziché grassi che sono appunto un “carburante più lento” come il diesel… Se questa fosse svolta a digiuno il glucosio sarebbe ricavato dalle proteine dei muscoli con conseguente perdita di massa muscolare: i chili andrebbero sì giù, ma bruciando muscolo e causando un grosso danno all’organismo! Nelle fasi successive – specie nel momento in cui, nonostante la costanza e l’impegno, dovesse verificarsi un fisiologico assestamento del peso – non dovremo trascurare il ruolo di un’attività fisica mirata anche a potenziare, oltre che tutelare, la massa nobile. Introducendo un allenamento con i pesi – da non svolgersi mai a digiuno! – favoriremo non solo la tonificazione, ma anche l’incremento della massa muscolare scheletrica che è la principale responsabile delle calorie consumate a riposo. Innalzando così il metabolismo basale, sarà possibile continuare a perdere il grasso in eccesso (e più in là a mantenere nel tempo il peso forma) semplicemente perché consumiamo di più per vivere. Le variazioni della composizione corporea che si verificano in risposta al programma dietetico potranno essere periodicamente monitorate eseguendo l’analisi computerizzata mediante la bioimpedenziometria. Fin qui è tutto vero ma, riallacciandoci a quanto dicevamo all’inizio, accanto all’attività fisica l’alimentazione dovrà essere adeguatamente restrittiva se si vuole ottenere una perdita di massa grassa: il dimagrimento dipende infatti dal bilancio energetico giornaliero che è dato dalle calorie in entrata e dalle calorie in uscita! Se si svolge un’attività sportiva a medio-bassa intensità allo scopo di bruciare preferenzialmente i grassi con un consumo ipotetico di 500 Kcal a seduta allenante e poi a casa si introducono 500 Kcal sotto forma di carboidrati, questi verranno trasformati in grasso di deposito (trigliceridi) in quanto il muscolo non ha mobilizzato le scorte di glicogeno (riserva di glucosio) per fornire energia durante l’attività fisica. All’opposto, se si si svolge un’attività sportiva ad alta intensità attraverso la quale verrà utilizzato preferenzialmente il glucosio, con un consumo ipotetico di 500 Kcal di zucchero a seduta allenante e poi a casa si introducono 500 Kcal sotto forma di carboidrati, questi andranno a rimpinguare le riserve muscolari di zucchero sotto forma di glicogeno. In entrambi i casi il grasso non viene intaccato dall’attività fisica, quindi non viene persa massa grassa! Morale della favola per dimagrire non si deve puntare esclusivamente a preferire un’attività fisica di alta o di bassa intensità. Non solo, ma accanto a una dieta che sia appunto adeguatamente restrittiva, la frequenza dell’attività fisica è determinante: verosimilmente senza dedicare almeno 3 ore alla settimana, la strategia di dimagrimento attraverso lo sport è destinata a fallire.

SENSIBILITÀ AL GLUTINE

COS’È LA GLUTEN SENSITIVITY O SENSIBILITÀ AL GLUTINE?

La gluten sensitivity sensibilità al glutine non allergica non celiaca è una reazione al glutine i cui meccanismi non sono ancora del tutto chiari. I sintomi sono simili a quelli della sindrome del colon irritabile (dolori addominali, diarrea, astenia, disturbi del tono dell’umore, emicrania, ecc.) e addirittura del tutto sovrapponibili a quelli della celiachia e dell’allergia al grano, pur non essendo rispettivamente né una malattia autoimmune con danno alla mucosa intestinale e rischio di complicanze, né un’allergia alimentare con produzione di specifici anticorpi (IgE). Poiché non è ancora stato individuato un marcatore specifico per tale condizione, si giunge alla diagnosi per esclusione. Per capire cioè se si soffre di sensibilità al glutine la prova da fare (sotto controllo medico e solo dopo aver escluso le suddette malattie) consiste nell’eliminare per un breve periodo e reintrodurre successivamente il glutine con gli alimenti: se i sintomi scompaiono quando con la dieta non si assume glutine e ricompaiono a seguito della sua reintroduzione, allora è molto probabile che si tratti di una gluten sensitivity. Molte persone che soffrono di questo disturbo, dopo un breve periodo di esclusione del glutine dalla loro abituale alimentazione, riferiscono un’importante attenuazione o una totale scomparsa dei sintomi, fino al recupero di uno stato di benessere generale. A tal proposito è bene precisare che la dieta totalmente aglutinata, rigorosa e da condursi a vita, è SOLO per i soggetti celiaci o allergici al grano! Nel caso della sensibilità al glutine allora non bisognerà togliere per sempre il glutine, pena il rischio di sviluppare carenze di nutrienti, vitamine in primis, piuttosto individuare la propria “minima dose tollerabile” con prove alimentari.

TEST INTOLLERANZE ALIMENTARI

SONO DAVVERO UTILI I “TEST DELLE INTOLLERANZE ALIMENTARI”?

Oggi più che mai tutto sembra far male a priori: glutine, latte, carne, zucchero, formaggi. Di fronte a un problema di salute molti si convincono che potrebbero essere “intolleranti a qualcosa”, forse perché risulta più comodo dare la colpa dei propri malesseri a una causa esterna piuttosto che cambiare radicalmente il proprio stile di vita. Molto spesso, infatti, chi si definisce intollerante non ha un buon stile di vita: sovrappesosedentarietàansiastressdepressionefumo e abuso di alcolici. I test delle intolleranze alimentari, pur essendo alquanto costosi, continuano ad avere un grande successo in quanto sono “venduti bene” da chi li propone, si possono fare senza prescrizione medica e soprattutto offrono appunto una risposta veloce ai propri malesseri, che saranno risolvibili (apparentemente) in maniera sbrigativa eliminando uno o più cibi incriminati. In genere si risulta quasi sempre intolleranti al frumento, ai lieviti, al lattosio e al nichel (non esiste l‘intolleranza al nichel, ma l’allergia al nichel!). Questo porta la persona ad eliminare per un certo periodo molti alimenti, magari ottenendo anche un iniziale miglioramento dei sintomi (eliminando i farinacei e i latticini automaticamente ci si sente più “sgonfi” e magari si perde qualche chilo), ma una dieta di questo tipo non può certo essere sostenibile a lungo termine, presto ricompaiono i disturbi e si torna ad essere più preoccupati e confusi di prima. Inoltre, il più delle volte questi test tendono a dare un esito “falso positivo”: attestando cioè una reazione che di fatto è inesistente, condizionano le persone ad escludere senza motivo (potenzialmente anche per tutta la vita!) certi tipi di alimenti. In conclusione i test delle intolleranze alimentari non sono  attendibili e pertanto non sono consigliabili. Allo stato attuale, non essendo ancora stati messi a punto test specifici validati scientificamente, fatta eccezione per il breath test per il lattosio, la diagnosi di intolleranza alimentare si fa per esclusione (ad esempio dopo che i test cutanei per le allergie siano risultati negativi). Come sempre, di fronte a un problema di salute, meglio rivolgersi a un medico esperto per una valutazione completa e approfondita e giungere a una diagnosi corretta.

MASSA MAGRA E MASSA GRASSA

COSA SONO PRECISAMENTE MASSA MAGRA E MASSA GRASSA?

La massa grassa (FMFat Mass) è la quantità totale di lipidi presente nel corpo ed è data dalla somma del grasso “essenziale” (che ha funzione di protezione degli organi interni, è presente nel midollo osseo, nelle mammelle e in altri tessuti e non deve essere assolutamente intaccato in quanto fondamentale per mantenere lo stato di salute) e del grasso “di deposito” (il tessuto adiposo, sottocutaneo e viscerale, contenente i trigliceridi di riserva energetica). La massa magra (LBMLean Body Mass) è tutto ciò che resta dell’organismo dopo averne sottratto il grasso “di deposito” ed è costituita quindi dall’acqua corporea totale (dentro e fuori le cellule), muscoli, ossa, denti, organi interni, ecc., ma anche dal grasso “essenziale”La massa magra propriamente detta (LBM) deve perciò essere distinta dalla cosiddetta massa libera da grasso (FFMFat-Free Mass) che rappresenta infatti ciò che rimane sottraendo dal peso corporeo tutta la sua sua componente lipidica, compreso appunto il grasso “essenziale”. La massa libera da grasso contiene approssimativamente il 73% di acqua, il 20% di proteine, il 6% di minerali e l’1% di glicogeno. La massa muscolare ne è la componente principale e influenza notevolmente il metabolismo. Infatti mentre la massa grassa contribuisce soltanto al 5% dei consumi energetici a riposo, la massa magra ne è responsabile per il 95%. In definitiva, quanti più muscoli abbiamo, tante più calorie consumiamo nel corso della giornata per vivere, indipendentemente dall’età, dalla funzionalità della tiroide e dal livello di attività fisica. Ecco spiegato il motivo per cui se si vuole dimagrire in maniera efficace e corretta (e mantenere nel tempo i risultati raggiunti!), il ruolo dell’attività fisica è inscindibile da quello di una dieta adeguata in quanto, oltre a far bruciare calorie, protegge e favorisce l’incremento della massa magra, che è costituita appunto in gran parte dal muscolo scheletrico. Tutti questi parametri possono essere facilmente rilevati in ogni momento attraverso l’analisi della composizione corporea mediante la bioimpedenziometria.

FITOTERAPIA

QUAL È LA DIFFERENZA TRA FITOTERAPIA E OMEOPATIA?

La Fitoterapia impiega a scopo preventivo e terapeutico sostanze di origine vegetale i cui principi attivi sono sempre in concentrazioni dosabili e precise (come cioè per i classici farmaci “allopatici”), mentre l’Omeopatia utilizza diverse sostanze (non solo derivate da piante) a dosi infinitesimali, cioè talmente diluite in acqua da risultare alla fine praticamente assenti. Per rendere l’idea, già alla trentesima diluizione centesimale (30 CH) la concentrazione di un farmaco omeopatico è pari a quella che si otterrebbe sciogliendone 1 grammo in una quantità di liquido pari a circa 700 milioni di miliardi di volte il volume del Sole, fino ad arrivare a preparazioni il cui principio attivo viene addirittura diluito 7 volte tanto (200 CH)! Gli omeopati giustificano l’azione di una sostanza che di fatto non è più presente in soluzione, sostenendo che l’acqua in cui è stata disciolta ne conserverebbe la “memoria” a seguito delle agitazioni (dinamizzazioni) eseguite in corso di preparazione. In base a queste teorie, che non sono scientificamente dimostrabili e che quindi devono essere accettate attraverso un atto di fede, l’Omeopatia è una medicina “alternativa” che si contrappone a quella basata sulle evidenze scientifiche. La Fitoterapia invece è una forma di medicina “non convenzionale” che completa in maniera sinergica i metodi di cura tradizionali. Non dimentichiamo che l’utilizzo terapeutico delle piante medicinali è stata la prima forma di medicina utilizzata dall’uomo in diverse culture, da cui si svilupperà poi la moderna farmacologia, e anzi dovrebbe essere considerata “la più tradizionale delle medicine tradizionali”. Bisogna tuttavia precisare che i rimedi fitoterapici (che per azione e meccanismo d’azione sono a tutti gli effetti dei veri e propri farmaci anche se, dal punto di vista legislativo, sono classificati come integratori) possono essere impiegati come regola generale nella prevenzione e nella cura di numerose condizioni patologiche con una tanto maggior efficacia quanto minore è la loro gravità. Per quanto riguarda l’Omeopatia invece, senza polemica alcuna, ad oggi non è mai stato dimostrato che una determinata patologia sia stata sicuramente guarita da questa: eventuali miglioramenti, così come avviene per coloro che assumono i “fiori di Bach”, vengono solo riferiti soggettivamente per disturbi che in genere sono molto lievi e per loro natura tenderebbero a regredire spontaneamente anche in assenza di intervento, oppure tendono a ricomparire in maniera ciclica. Queste condizioni riconoscono il più delle volte una base psico-somatica, dove non a caso l’effetto placebo, per autosuggestione e suggestione legata al carisma del terapeuta, ha indubbiamente un ruolo chiave.